Shein: perché sarebbe meglio evitare di fare shopping dal colosso cinese di fast fashion online

Shein è una tra le più conosciute piattaforme web di vendita di abbigliamento e accessori. Il sito fu lanciato online nel 2008 e in capo a pochi anni ha conquistato i mercati internazionali grazie a una politica aziendale basata fondamentalmente sui prezzi bassi.

Per alcuni anni Shein si occupava solo della vendita di capi di abbigliamento, scarpe e accessori da donna, poi ha aperto anche al settore dei capi di abbigliamento e gli accessori per uomo e per i bambini.

Tutto bene quindi, tutto vantaggioso, divertente, perfetto…

Non esattamente. Nel grande volume di vendite e di affari che questo sito è in grado di registrare ogni anno, qualcosa non va ed è qualcosa che è bene conoscere.

A un certo punto, infatti, da più parti si sono sollevate voci poco lusinghiere su Shein sul tema dei diritti umani dei lavoratori, relativi anche alla sicurezza sul lavoro e sulla salute, oltre ad altre situazioni che vedono tristemente protagonista Shein quando si parla di trattamento dei dati o sugli articoli in vendita.

Oltretutto, nel corso degli anni Shein ha aperto ai mercati esteri radicandosi in territori quali l’Europa, Australia, America e il Medio Oriente, quindi ciò che accade dietro le quinte della produzione interessa una larga fetta di consumatori a livello internazionale.

In questo articolo abbiamo deciso di affrontare un tema delicato ma di grande attualità, legato appunto agli acquisti online effettuati sul sito di questo vero e proprio colosso cinese della vendita di articoli fashion a basso prezzo.

Perché sarebbe eticamente e moralmente consigliabile evitare di acquistare su Shein? Scoprilo leggendo i prossimi paragrafi e formati un’opinione su questa faccenda.

Il caso Shein

Il “caso Shein” è scoppiato pubblicamente e a livello internazionale tra la metà del 2021 e la fine del 2022.

In quel periodo infatti, da più parti si iniziò a parlare del fatto che la produzione dei capi e accessori di abbigliamento venduti a basso da Shein, celassero criticità persino sul tema dei diritti umani.

Oltre questo, altri apetti negativi iniziarono a oscurare la fama di questo vero e proprio colosso internazionale operante nella produzione e vendita di abbigliamento e accessori a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato.

Vediamo di cosa si tratta e iniziamo a riflettere sui motivi che portano vantaggi economici che non dovrebbero rappresentare la priorità di fronte alla negazione di certi diritti o se si parla di tutela della salute e dell’ambiente.

Lavoratori sfruttati da Shein

Per mantenere prezzi bassi, secondo alcune politiche aziendali, è necessario abbattere al massimo tutti i costi. A cominciare dai salari dei lavoratori.

Non è certamente così che si fa bene il proprio lavoro, sfruttando cioè chi lavora.

Oltretutto, nel caso di Shein e di altre imprese che nel corso degli anni – in special modo nei territori orientali – si sono macchiate del reato o comunque del sospetto di sfruttamento della forza lavoro, non si parla solo di salari bassi quanto di ritmi di lavoro al limite della disumanizzazione.

Intorno alla metà del 2022, grazie a una video-inchiesta realizzata e resa pubblica dal canale televisivo inglese Channel4, fu possibile sollevare la seria questione dello sfruttamento dei lavoratori di Shein impiegati nei laboratori di produzione dei capi di abbigliamento.

Di seguito, ecco il video della video-inchiesta dal titolo: Inside the Shein Machine: UNTOLD

Per poter documentare le condizioni di lavoro all’interno di due degli stabilimenti di produzione di Shein che si trovano in Cina, un giornalista riuscì a introdursi al loro interno e filmò la situazione per poi denunciarla pubblicamente.

Secondo questa inchiesta giornalistica, emerse che a ogni singolo lavoratore viene chiesta la produzione di 500 pezzi al giorno che rappresenta davvero un volume enorme di lavoro.

Oltre questo, sembra che non sia mai stato chiarito un punto che riguarda lo stipendio dei dipendenti: per quale motivo, sempre stando a ciò che emerse durante quell’indagine, la prima paga verrebbe trattenuta e non versata al lavoratore? La dirigenza di Shein non ha mai replicato adeguatamente a domande di questo genere, lasciando un’aura di sospetto intorno a questi temi.

Altro punto su cui riflettere: la paga media dei lavoratori impiegati nelle fabbriche di Shein è di circa 550 dollari al mese, per una produzione di circa 500 capi di abbigliamento al giorno.

Si tratta quindi di una paga di circa 4 centesimi di dollaro per capo di abbigliamento realizzato. Non è tutto, perché da ciò che è emerso, se un lavoratore commette un errore di produzione, ecco che la paga viene decurtata di una certa somma.

Che dire poi degli orari di lavoro? 18 ore al giorno in fabbrica a fronte di 1 giorno di riposo. Al mese.

Tutto questo va oltre lo sfruttamento delle risorse umane, perché sfocia nel settore dei diritti umani negati. Passiamo oltre e scandagliamo altri punti eticamente e moralmente a sfavore di Shein.

L’indagine condotta da CBC

Partita dalla Cina, l’organizzazione di produzione e vendita di articoli fashion del marchio Shein, con il passare del tempo si è diffusa oltre il territorio cinese.

Oltre a sbarcare in Europa, negli USA e in Australia, Shein è approdata anche in Canada. Proprio dal Canada è arrivato un altro problema per il colosso orientale, grazie a un’inchiesta lanciata dal canale televisivo canadese CBC.

Questo rete televisiva si occupa di indagini nel settore del commercio, compresi i marketplace, e fornisce ai consumatori/telespettatori una certa mole di dati in relazione alla produzione, alle politiche aziendali, ai prezzi ma anche alla sicurezza e altri parametri di cui, solitamente, il consumatore sa poco o nulla.

Approfondiamo il tema che riveste un ruolo molto importante nella scelta finale dei consumatori: è davvero conveniente acquistare su Shein? E’ il caso di continuare a fare shopping su questo marketplace se scopriamo che dietro i prezzi davvero bassi si celano condizioni di lavoro inumane e persino rischi per la salute per i clienti che acquistano i capi a basso costo?

Contenuto di piombo nei tessuti oltre i limiti consentiti dalle normative

L’inchiesta in questione scaturì da una linea di giacche per bambini vendute su Shein. Dalle analisi di laboratorio, emerse che il tessuto era realizzato con un contenuto di piombo 20 volte superiore ai limiti fissati dalle regole sulla sicurezza di Health Canada.

Health Canada è il dipartimento del Governo canadese responsabile della salute pubblica, ed è attento nel valutare, analizzare e verificare i rischi per la salute che possono arrivare anche attraverso tessuti e altri materiali provenienti dall’estero.

L’indagine fu capitanata dalla professoressa Miriam Diamond, docente presso l’Università di Toronto, che fece emergere anche un altro tipo di problematica legata alla salute, relativa in questo caso ai livello di piombo contenuti nel materiale di produzione di una borsa venduta da Shein.

Nel caso della borsa in questione, emerse che il livello di piombo era superiore di 5 volte quelli consentiti dalla legge canadese.

La reazione di Shein di fronte a queste indagini non si fece attendere. Il colosso cinese dichiarò pubblicamente che avrebbe proceduto a sospendere la produzione e vendita delle giacche per bambini e del modello di borsa analizzato, almeno fino a che la situazione relativa al contenuto di piombo non si fosse risolta.

Attenzione però, è assolutamente necessario riflettere su un paio di fattori, cioè l’indagine fu condotta in Canada e secondo le normative canadesi sulla salute ed il numero di articoli prodotto da Shein è altissimo.

Questo significa che gli stessi articoli possono essere stati esclusi dalla vendita sul territorio canadese ma non nel resto del mondo.

Inoltre, si tratta appunto di due analisi, due verifiche, contro migliaia di modelli diversi prodotti da Shein: come si può non dubitare che anche gli altri articoli siano realizzati con materiali dannosi per la salute? Il dubbio resta.

Shein e i problemi sulla sostenibilità

Qualsiasi industria deve considerare, tra le varie incombenze, anche ciò che produce a livello di elementi tossici che vanno a impattare nell’ambiente in cui viviamo.

In special modo nell’attuale periodo storico, in cui clima e ambiente sono al centro di un dibattito internazionale che si sviluppa tra etica, sostenibilità ambientale e soluzioni a tutela del pianeta Terra, non si possono fare le classiche orecchie da mercante.

A sostegno di tutto questo esistono leggi specifiche in quasi tutto il mondo occidentale.

Sul fronte orientale, invece, le normative sono poche e poco chiare. La Cina è uno dei territori al mondo col più alto numero di aziende di produzione. Questo rappresenta uno dei motivi per cui continua a essere una delle nazioni che emette grandi quantità di sostanze tossiche.

Oltre ai problemi legati alla produzione di tessuti che contengono livelli fuori norma di elementi tossici, come per esempio il piombo, che a furia di essere indossati causano problemi di salute – primi tra tutti allergie e dermatiti – dobbiamo ricordare che questi elementi sono tossici anche per l’ambiente.

In che modo? Per esempio attraverso il processo di smaltimento dei rifiuti, tra cui quelli di tipo inorganico come le stoffe degli abiti usati, che va a creare un impatto dannoso nel terreno e di conseguenza, nell’ambiente.

Se parliamo di smaltimento di rifiuti non si pensi semplicemente alla spazzatura urbana o ai cassonetti che sono dislocati nelle nostre città per la raccolta degli abiti usati.

Il problema è di più vaste dimensioni, come l’esempio che da anni interessa una vasta area del deserto di Atacama che si trova in Cile: osserva le immagini in questa inchiesta realizzata dalla BBC e immagina cosa può creare nel terreno e di conseguenza, nell’ambiente, un ammasso di abiti vecchi se sono stati prodotti con sostanze tossiche.

Hai seguito le scene del video? Impressionanti, vero? Non si considera mai ciò che si cela dietro situazioni che fanno in qualche modo parte della nostra quotidianità ma che sono importanti, non solo per la salvaguardia del pianeta, quanto per il diritto alla conoscenza e all’informazione dei cittadini di ogni parte del mondo.

Sapere rende liberi di scegliere, anche di non acquistare capi e accessori di abbigliamento prodotti con regole e modalità eticamente discutibili. O di continuare a fare shopping, ma consapevolmente.

Conclusioni

Con questo articolo su Shein non abbiamo la pretesa di farti decidere su quale piattaforma di e-commerce acquistare i tuoi capi di abbigliamento ma solo quella di fornirti una serie di informazioni che forse non conoscevi.

Sapere che quel bel capo di abbigliamento acquistato su Shein è costato così poco perché è comunque frutto di sfruttamento dei lavoratori, dovrebbe però farti riflettere sull’opportunità di fare un gesto collettivo per sconfiggere, in ogni parte del mondo, queste condizioni lavorative.

Inoltre, anche la produzione degli articoli che acquistiamo deve seguire regole precise a tutela della salute e delle condizoni dell’ambiente in cui viviamo.

D’altro canto, Shein è solo una delle grandi realtà di produzione e commercializzazione di capi di abbigliamento a basso prezzo: il fatto che sia stata oggetto di attenzioni investigative da parte del Governo canadese, o di indagini giornalistiche realizzate dalla BBC e dalla inglese Channel 4, non devono farci dimenticare, o fingere di non sapere, che ogni giorno, in tutto il mondo, molte industrie attive nella produzione di articoli in vendita a basso costo si basano sullo sfruttamento della forza lavoro e raggirano certe normative a sostegno della salute e a tutela dell’ambiente.

La domanda da porsi è quindi: quanto conta risparmiare pur di indossare capi alla moda e quanto è invece importante aver cura dei diritti umani, della salute e della sicurezza?

Se vuoi contribuire con le tue riflessioni sul tema di questa indagine, puoi scriverci compilando il seguente modulo online: Storie di consumatori, oppure puoi commentare questo articolo. Pubblicheremo i messaggi più interessanti per arricchire la riflessione collettiva su questo importante tema socio-economico.

Emilia Urso Anfuso

Giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica.
Collabora con Novella2000, il settimanale Visto (interviste a personaggi della politica, della cultura e dello spettacolo) e per altre testate giornalistiche, tra cui il quotidiano Libero per i settori politica, economia e attualità
Scrive da diversi anni per i siti di informazione online del Gruppo Puntoblog Media: consumatori.blog, assistenza-clienti.it e lavoratori.blog.
Fondatrice e direttore responsabile, dal 2006, della testata giornalistica di informazione online: www.gliscomunicati.it
Sociologa
Esperta di comunicazione
Ideatrice e conduttrice della trasmissione video MediaticaMente e del ciclo di trasmissioni "Racconti investigativi" insieme al Luogotenente dei crimini violenti del ROS dei Carabinieri Rino Sciuto
I suoi libri sono in vendita su Amazon

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