Mia moglie è stata vittima di una fatturazione indebita da parte di Tre (telefonia).
Dopo un inconcludente scambio epistolare ha coinvolto l’associazione consumatori. Alla fine, Tre ha riconosciuto la propria colpevolezza proponendo però di chiudere 50/50. Come se un borsaiolo colto col tuo portafoglio in mano, ti proponesse di dividere il contenuto a metà.
Lei accettò l’ignobile transazione con la bile in bocca, l’alternativa sarebbe stata un’interminabile vicenda giudiziaria in cui le spese legali avrebbero superato il maltolto: oltre 2000 Euro.
Le società che operano in malafede, infatti, contano sull’inefficienza del sistema giudiziario che penalizza i piccoli consumatori, mentre i grandi fornitori ne approfittano. Basti pensare alle migliaia di clienti trattati in questa maniera per sospettare che si tratti di una strategia commerciale premeditata e ben calcolata di grande ritorno economico.
Mia moglie ha disdetto il servizio cinque mesi fa e, finalmente oggi, ha ritirato una raccomandata di Tre in cui le chiedono di pagare 101 Euro per chiudere il rapporto contrattuale. Non c’è alcuna giustificazione per quell’importo, ma millantano le vie legali in caso di mancato pagamento.
Lei non voleva, ma l’ho convinta a pagare, non per il timore delle vie legali che non attuerebbero mai, ma per aver la certezza di non aver nulla più a che fare con quella gente.
Mi sono deciso a raccontare questa esperienza per allertare altri consumatori sul pericolo di consentire a certi fornitori di servizi telefonici, di cogliere agilmente i pagamenti delle bollette dalla carta di credito o dal conto corrente, spesso non controllati con cura e puntualità, come nel caso di mia moglie. Meglio i ricaricabili, almeno il controllo è forzato.
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